30 ago 2007

Best Videos - 2: Beastie Boys

"Sabotage" dei Beastie Boys è pura energia e il video la cattura perfettamente con un'immersione a tutto fondo nel cinema d'azione degli anni Settanta.

Regia sporca, fotografia filologica e montaggio sincopato di quel genio del videoclip rispondente al nome di Spike Jonze.

Si tratta di uno dei dieci video più belli di tutti i tempi e difficilmente verrà surclassato da qualcuno nella classifica.

Godetevelo:

28 ago 2007

Best Videos - 1: Madonna

Sapete già come la penso sugli anni Novanta: il miglior video di quel periodo - nonché uno dei più belli di tutti i tempi - è "Unfinished Sympathy" dei Massive Attack (lo trovate da qualche parte, sulle pagine di questo blog).

Ma quali sono gli altri "best videos" DI SEMPRE?

Incominciamo con questo: "Bad Girl" di Madonna.

Superproduzione, cast stellare con un Christopher Walken nei panni di un tenebroso e inquietante angelo custode, atmosfere torbide, patinate e decadenti.

Regia e montaggio sono di David Fincher, il regista di "Seven", "Alien 3", "Panic Room", "The Game" e l'ultimo, controverso "Zodiac".

Godetevi questa splendida pellicola per il grande schermo volutamente condensata in una pillola di pochi, intensissimi minuti.


25 ago 2007

Go Nagai

A volte succede.

Ti capita di scrivere un pezzo per il giornale - "la Repubblica - Napoli", in questo caso - e che, per tutta una serie di motivi, non venga pubblicato.

L'arrivo di Go Nagai a Napoli in occasione del Comicon 2007 tenutosi a fine aprile aveva scatenato molteplici entusiasmi con giornalisti - professionisti e non - sgunzagliati a reperire dichiarazioni del mangaka per comporre articoli di sicuro richiamo commerciale.

Per l'edizione napoletana de "la Repubblica", l'incarico di seguire la manifestazione partenopea dedicata al fumetto l'avevo ottenuto io.

Go Nagai aveva tenuto la sua conferenza stampa di giovedì e io avevo fatto appena in tempo a inserire alcune sue dichiarazioni nel pezzone a tutta pagina previsto per il giorno dopo - incentrato sulla presentazione dell'intera convention - riservandomi di ampliare successivamente il discorso su di lui.

Non avevo calcolato che tra venerdì e sabato la stampa locale si sarebbe scatenata con un fuoco di fila di interventi, tutti più o meno simili tra loro e alcuni contenenti anche clamorosi errori di interpretazione del pensiero dell'artisa giapponese (come, per esempio, nell'articolo comparso sul "Roma").

Fatto sta che il mio pezzo su Go Nagai - che avevo pensato di proporre per il lunedì, a conclusione della manifestazione - era diventato per forza di cose obsoleto e "ritardatario".

Un peccato, perché - modestia a parte - sarebbe stato probabilmente il migliore tra tutti quelli usciti.

Lo edito adesso qui:

Durante la sua prima conferenza a Napoli – tenutasi l’altro ieri nella meeting room della pizzeria Brandi a via Chaia – Go Nagai si è intrattenuto volentieri a parlare delle sue creazioni e del suo folle, grottesco, sorprendente universo narrativo che si esplica in dozzine di opere spesso interconnesse e in diversi casi poco conosciute nel nostro Paese.
Illuminanti le sue considerazioni circa la violenza sanguinaria, a tratti cupa che darebbe ai suoi fumetti e ai serial d’animazione tratti da essi, una connotazione diseducativa. A questa accusa il mangaka controbatte che se i cartoons della Disney tendono a proporre una visione del mondo ottimistica in cui la corretta visione della realtà viene per certi versi falsata dai buoni sentimenti, nelle sue storie invece i protagonisti sono costretti a vivere i dolori e le ansie della vita vera, il dramma dello sforzo e della crescita. E questo ha sicuramente un valore educativo. Rispetto poi ad alcuni videogames estremi che pongono il giocatore in una situazione attiva nei confronti della violenza, un cartone animato basato su una narrazione mediata da un autore favorisce il distacco dalla tematica incandescente a favore di una riflessione più articolata e profonda da parte del fruitore.
Divertente, poi, la sua ammissione di incapacità iterativa con le macchine della quotidianità – “Non potrei mai guidare un robot da me inventato: mi ritroverei di sicuro a schiacciare qualche tasto sbagliato e a combinare guai” – a fronte di un ispirazione che lo ha portato a concepire i suoi robot umanizzati immaginando delle automobili che, in una situazione di ingorgo stradale, potessero proiettare gambe e braccia idrauliche fuori dagli abitacoli per tirarsi fuori dal traffico camminando.
E il suo primo approccio con Napoli? Affascinanti i vicoli – visti soltanto attraverso le pellicole cinematografiche italiane degli anni Cinquanta e Sessanta – e magnifica la statua di un guerriero vista al Museo Archeologico: “Potrebbe diventare uno dei miei prossimi personaggi,” ha detto, confermando tutta la sua vitalità di artista.


14 ago 2007

Best of the year 2006

Continua la ri-pubblicazione dei miei personali "best of the year" scritti per Lo Spazio Bianco.it
Nota: per un errore di digitazione "Il Terzo Testamento" era diventato "Il Quarto Testamento". In questa sede viene corretta la strana e colpevole svista.



1) Garry B. Trudeau, Doonesbury: La lunga strada verso casa, Arcana.
Politico, vibrante, commovente, esilarante, umano, corrosivo: Doonesbury è questo e molto altro ancora. Trudeau ama il suo paese alla follia e, proprio per questo, può permettersi di lanciare battute salaci, strali, invettive e j’accuse verso politici, personaggi, gruppi, mode e isterie a stelle e strisce senza correre il rischio di apparire stucchevole o manierato.
Il volume, edito da Fazi, raccoglie una fondamentale sequenza cronologica di strip e tavole domenicali pubblicate tra il 2004 e il 2005. Ne viene fuori il ritratto di un’America martoriata dai desideri guerrafondai di Bush – che trovano una frivola e grottesca estensione nelle gaffe sparate a ripetizione da Schwarzenegger durante la sua campagna elettorale per le elezioni californiane – ma anche vitale, orgogliosa, sempre pronta a rialzare la testa e a mettersi in discussione.
Qualcuno una volta ha detto – a ragione – che non ci può essere nessuno di più antiamericano di un vero e convinto americano. Trudeau fornisce ampie ragioni a questa tesi e ci fa rimpiangere i valori di una democrazia imperfetta ma immensamente matura.



2) J. Sacco, Gorazde Area Protetta, Mondadori.
Ormai Joe Sacco rappresenta una guida imprescindibile per poter comprendere qualcosa circa i conflitti che devastano le aree calde del mondo. Sulla scia di Palestina – un capolavoro assoluto di cui non è ancora stata pienamente rilevata l’importanza – ecco Gorazde Area Protetta, reportage sulla guerra serbo-bosniaca tra il 1992 e il 1995, ormai quasi completamente rimossa dalla coscienza collettiva. Sacco fa quello che sa fare: si reca sui posti, intervista persone, illustra vicende, esplora se stesso emendandosi da pregiudizi, cerca di rendere su tavola ciò che sfugge alle immagini televisive e ciò che le parole non riescono a esprimere. L’intensità grafico-narrativa raggiunta in certe sequenze di Palestina non viene replicata, ma restano intatte la lucidità dello sguardo, la profonda passione etica e morale filtrata da una luce spietata, fredda e distaccata, la voglia di portare alla luce ciò che è stato taciuto, sepolto o dimenticato per riferirlo e mostrarlo al lettore. In tutta la sua crudezza.



3) M.A. Martin, The Complete Brian The Brain, Coniglio Editore.
Quando lo pubblicavano le Edizioni Topolin di Jorge Vacca, gli albi di Brian The Brain rappresentavano il piacere sottaciuto, la lettura indispensabile che, però, veniva lasciata deliberatamente per ultima tra gli acquisti delle fiere o delle fumetterie. Perché sapevi che ti avrebbe fatto male catapultandoti in un mondo raggelante in cui qualsiasi scampolo di sentimento o di umanità sarebbe stato schiacciato dalla più perversa delle macchine socio-politico-industriali. Perché sapevi che Brian The Brain – questo tenero e disturbante Charlie Brown per il XXI secolo – forse eri proprio TU.
The complete Brian The Brain raccoglie in un’unica soluzione – compattandole in un “romanzo grafico” – il ciclo di storie concepito di Miguel Angel Martin. Il risultato è un volume che andrebbe inserito sugli scaffali della propria biblioteca tra i racconti al ghiaccio sintetico di James G. Ballard e i deliri lisergici di William Burroughs. Da leggere utilizzando come segnalibro una lastra radiografica del proprio cranio.



4) M. Millar – J. Romita jr., Wolverine, Nemico pubblico & Wolverine, Agente dello Shield, su “Wolverine” (nuova serie) nn. 20-31, Marvel Comics (in Italia su “Wolverine”, nn. 190-197, Panini-Marvel Italia).
Due sequenze narrative per un’unica, grande storia accolta in Italia senza eccessivi onori o lodi.
Il problema è che nel nostro Bel Paese i lettori di fumetti stanno subendo una bizzarra mutazione genetica che non consente più loro di distinguere l’ordinario da ciò che non lo è. Se questa saga dedicata all’irsuto X-man canadese fosse stata pubblicata negli anni Ottanta, a quest’ora verrebbe annoverata tra i cult imprescindibili dell’epopea Marvel e del fumetto supereroistico statunitense in generale. Oggi riesce a riscuotere soltanto qualche freddo applauso, tra spettatori troppo impegnati a rilevare presunti “errori” di continuity e a discutere della gestione della Casa delle Idee portata avanti da Joe Quesada.
La run di Wolverine realizzata da Millar e Romita jr offre invece quanto di meglio un lettore di fumetti avventurosi e fantastici possa sperare di trovare: epos innanzitutto, ma anche drammi psicologici, battaglie e duelli all’ultimo sangue, horror e thriller, cliffhangers a non finire e finali dal gusto amaro. E ti fa capire perché si può continuare, da adulti, a seguire le gesta dei supereroi.
Una scena su tutte: l’Elivelivolo dello Shield viene attaccato in massa da un’orda di supercriminali; gli agenti a bordo, quasi sopraffatti, cercano di proteggere Nick Fury, invitandolo a fuggire a bordo di una navetta, il leader dell’organizzazione spionistica statunitense si getta invece nel cuore della mischia urlando: “Siete pazzi? Sono l’UNICA speranza che avete!!”.
Quarantacinque anni di comics targati Marvel condensati in due sole frasi. E non è affatto una cosa scontata o semplice a farsi.



5) P. Cossi, La storia di Mara, Lavieri.
Mara Nanni è stata una brigatista rossa: è il dato di fatto più evidente di una storia che dietro la sua apparente linearità nasconde tracce e scarti imprevisti verso luoghi che si estendono ben oltre le vicende strettamente personali, ben oltre il ritratto di quegli “anni di piombo” di cui tutti sanno parlare ma di cui pochi comprendono le radici e l’importanza.
La storia di Mara è una biografia delicata e dolorosa che Paolo Cossi impernia su vari registri: realistico, espressionista, grottesco, umoristico. L’amalgama, a volte, genera effetti eccessivamente stridenti. Ma l’urgenza narrativa, la voglia di raccontare con sincerità, di comprendere ciò che sfugge, ciò che resta sempre sulla punta della lingua senza trovare definizioni consone, rendono questo libro davvero toccante e virtualmente impedibile.



6) E. Brubaker – S. Phillips, Sleeper, Solo tra le iene & Sleeper, Solo mosse false, Wildstorm/DC Comics (in Italia pubblicato da Magic Press).
A voler fare i tipi aggiornati che seguono le ultime tendenze, si potrebbe immediatamente rapportare il serial fumettistico di Sleeper a quello televisivo di Alias. Se volessimo andare oltre per dimostrare di essere dei cinefili accaniti, si potrebbero effettuare rapidi confronti con Infernal Affairs 1, 2 e 3, saga made in Hong Kong sulla quale Martin Scorsese – con il remake occidentale The Departed, una paraculata tanto splendida quanto superflua – ha costruito le sue più recenti fortune.
In realtà Sleeper è un The Spirit così come l’avrebbe probabilmente concepito un Will Eisner diciottenne all’inizio del XXI secolo. Lo sceneggiatore Ed Brubaker cerca di essere realistico solo fino a un certo punto, consapevole di star giocando con ambientazioni e personaggi di un universo supereroistico. Ma è proprio questa fredda consapevolezza, forse – rapportata a una passione colta e viscerale per i generi narrativi – a rendere il tutto così intrigante e sanguigno. Sean Phillips, dal canto suo, organizza le tavole con uno storytelling tanto minimale quanto inedito, pervenendo ai migliori risultati della sua ricca carriera professionale.
Sorprendente.



7) X. Dorison – A. Alice, Il Terzo Testamento, Giovanni o Il Giorno del Corvo, Eura Editoriale.
Il fumetto storico – caposaldo insostituibile della bande dessinèe d’oltralpe – costituisce da anni uno dei piatti forti di “Lanciostory” e “Skorpio”, la rinomata coppia di riviste dell’Eura Editoriale.
Tra l’immensa mole di materiale proposta sui due magazine settimanali, ha fatto la sua comparsa anche la saga de Il Terzo Testamento, riconosciuta da critica e pubblico come uno dei capolavori del fumetto transalpino dell’ultimo decennio. Adesso, grazie alla mai troppo osannata collana “Euramaster” – all’interno della quale la casa editrice romana ripropone in maniera integrale e in agili volumi cartonati i suoi migliori titoli d’acquisizione francese – i quattro capitoli di cui si compone l’affresco trecentesco concepito da Xavier Dorison e Alex Alice hanno infine trovato la loro degna sistemazione italica.
Giovanni o Il Giorno del Corvo chiude – tra atmosfere apocalittiche, paesaggi vertiginosi e personaggi indimenticabili – le fila di un intrigo medievale incentrato sulla ricerca della discendenza del Cristo Redentore attraverso la decifrazione di un misterioso codice sacro protetto da una società segreta. L’idea è la stessa che sta alla base de Il Codice Da Vinci di Dan Brown, con la differenza che Dorison e Alice – tenendo conto della stessa, controversa tradizione esoterica sulla presunta linea di sangue di Gesù e delle suggestioni provenienti dal ben più importante Il Nome della Rosa di Umberto Eco – l’hanno sfruttata molto prima dello scrittore americano. Pervenendo, nel contempo, a risultati molto più convincenti e degni di nota.
Un gioiello dell’avventura e dell’arte del fumetto, da scoprire e apprezzare appieno.



8) L. Bartoli, R. Recchioni – W. Dell’Edera, John Doe n. 34, La Via della Spada, Eura Editoriale.
Bella la realtà di John Doe, questo appuntamento mensile che, ricalcando il format degli albi targati Bonelli, sonda fin dai suoi esordi – risalenti ormai a quattro anni fa, praticamente una vita per gli standard contemporanei – le vie per distaccarsene e trovare/creare un proprio specifico.
Da far torcere le mani l’andamento di John Doe, tra inizi promettenti, false partenze, idee nuove e bizzarre, involuzioni, cartucce sparate a vuoto, accelerazioni impreviste seguite da lunghi e tediosi rallentamenti. E tu, lettore, sempre lì ad aspettare, sapendo che il potenziale era ben superiore a quanto effettivamente mostrato, a fare il tifo per un gruppo di autori ansiosi di proiettarsi in territori sconosciuti eppure sempre timorosi, in qualche modo, di prendere definitivamente il largo.
Finché eccolo arrivare, il numero 34, La Via della Spada: dopo una prima sequenza narrativa – durata ventiquattro numeri – con una conclusione all’altezza delle aspettative ma contraddistinta da troppe ripetizioni e momenti morti e un inizio di “seconda stagione” in linea con quanto mostrato in precedenza, ecco il punto di svolta, la storia a partire dalla quale il team di John Doe decide di puntare seriamente a un ruolo “alternativo” nell’ambito del tradizionale fumetto popolare italiano mainstream.
In La Via Della Spada, Roberto Recchioni si ricorda finalmente di essere una delle poche promesse del fumetto nostrano in procinto di essere mantenute: la vicenda da lui concepita assieme a Lorenzo Bartoli è lineare senza rinunciare al giusto spessore, divertente e ritmata senza rinunciare all’intelligenza, citazionistica senza risultare fotocopiata. E su tutto domina il tratto espressionista e studiatamente obliquo di Werther Dell’Edera che perviene a esiti magistrali nella resa di atmosfere ora eteree, ora torbide e brucianti.
E’ a partire da questo numero che il serial John Doe ingrana la quinta, infilando una sequenza compatta – e al momento ininterrotta – di albi originali e avvincenti.
Da seguire con attenzione.



9) A. Jodorowsky – M. Manara, I Borgia vol. 2, Il Potere e L’Incesto, Mondadori.
Un vecchio cialtrone inveterato della cultura occidentale e un artista-bluff che ha deciso di far quattrini cavalcando i blandi desideri erotici della media borghesia. Ce n’era abbastanza per snobbare in maniera aprioristica l’uscita de I Borgia. Ed effettivamente le critiche feroci non sono mancate, contribuendo a relegare l’opera di Jodorowsky e Manara ai margini estremi di un dibattito fumettistico che – al di là di questo caso specifico – si impoverisce sempre più, di pari passo con l’espansione di Internet.
Eppure I Borgia rappresenta una delle opere a fumetti più politiche che sia mai stata pubblicata in Italia da dieci anni a questa parte. La vicenda della losca dinastia rinascimentale dei Borgia – una famiglia mafiosa, a tutti gli effetti – diventa un magnifico specchio di ciò su cui si basa oggi il sistema Italia: culto strategico dell’ignoranza, amoralità, paranoia, mancanza di rispetto per le leggi e per lo Stato, familismo morboso e incestuoso. Il tutto servito su un piatto guarnito con veline sculettanti e zoccole pubbliche, immagini stuzzicanti e piaceri tanto futili quanto perversi. Il male di oggi come condizione secolare, atavica.
I Borgia è un fiore che emerge dallo sterco, un racconto che sollecita riflessioni profonde proprio nel momento in cui cerca di titillare le parti più basse del pubblico, in un gioco probabilmente inconsapevole ma dannatamente efficace.



10) P. Parisi, Fame, autoproduzione.
Mentre imperversa quell’altro grande bluff del fumetto italiano contemporaneo rispondente al nome d’arte di Gipi, c’è un artista che con molta umiltà propone storie proletarie che gettano luci tragiche sugli universi marginali del nostro paese. Fame è un colpo allo stomaco sferrato con rapidità e freddezza, una storia breve ma con ampi riverberi d’intensità in cui l’autore bada alla sostanza, lasciando da parte effetti paesaggistici superflui e menate retoriche sull’inferno e la dannazione. C’è chi sgobba, c’è chi soffre, c’è chi uccide, c’è chi muore: questo è quanto. Fame è l’anti-Hanno ritrovato la macchina, Parisi un autore che sembra debitore di Munoz ma in cui si colgono influenze di David Lapham e Beto Hernandez.
Bene ha fatto il centro Fumetto Andrea Pazienza a presentarlo, in veste degna, su uno Schizzo presenta.