4 apr 2007

la faccia scoppiata


A Napoli continuano a volare pallottole e i corpi cadono pesanti sull’asfalto delle strade come sacchetti di segatura. Ieri un altro morto e un altro ferito grave nel bel mezzo del Rione Traiano, zona nord-occidentale della città.
Il racconto che segue è stato pubblicato il 29 ottobre 2006 sulle pagine de “la Repubblica” (edizione napoletana). Prende il via nel Vasto, popoloso quartiere che guarda a est del capoluogo campano.
E’ il primo di una serie corale – scrittura in prima persona, protagonisti partenopei di varia estrazione e moralità – i cui tasselli vedranno la luce piano piano, col tempo. Si tratta di uno studio sul linguaggio dialettale, sui sistemi di valori dominanti dalle mie parti e sulle trame brevi e immediate.
Leggete e fatemi sapere.


La faccia scoppiata


A Peppe Ferrandino e a Luigi Bernardi


Innanzitutto la cosa più bella sono state le due tirate di cocaina a gratis. Veramente la guerra. Mai visto che uno viene vicino a te e ti dice: tiè, pigliatene quanta ne vuoi tu.
Lo so, lo so che non lo fanno per senza niente, che ti credi? Loro ti vogliono tipo Lavezzi in mezzo al campo di pallone. Ti vogliono scattoso, che devi pensare chiaro. Ma che vuoi? A me è piaciuto e siccome non era stato messo nel conto, per me è stato a gratis.
Io e Gigio siamo scesi da sopra casa di mamma sua tutti eccitati che pareva che dovevamo andare a Licola a ballare. Non ci pensavamo proprio che dentro al marsupio ci avevamo le pistole e che stavamo per andare a fottere l’infamone che ci ha detto Maradona, la persona di fiducia di chi sai tu (hai capito chi, no?). Io mi pensavo che mi cacavo sotto, ma invece è andato tutto come doveva andare.
Ci siamo messi i caschi, siamo saliti sulla Vespa che Mimì si era rubato apposta per noi (si è messo dentro alla sacca una bella carta di duecento euro pure lui, che ti pensi?) e siamo andati per dentro il Vasto a vedere se l’infamone ci stava.
Io, a dire la verità, non lo so l’infamone in che cosa aveva sgarrato. Io so solo che quando la persona capisci-a-me dice che uno è infame, è questione chiusa: deve essere infame per forza. E comunque pure a me l’infamone mi è sempre stato sulla capocchia del pesce: me lo ricordo davanti al suo negozio di chianchiere fino da quando tenevo tre anni. E mano a mano che diventavo grande ha incominciato che mi guardava con una faccia schifata e superbiosa. Quella di chi si crede meglio di te perché ha fatto i soldi mentre tu tieni la famiglia terremotata e il padre rinchiuso dentro a Poggioreale. Quella di chi si crede che puoi entrare dentro al suo negozio da merdaiolo per affogarti un pezzo di lacerto di nascosto e perciò ti tiene mente.
Tienimi mente adesso, lutamma.
Lui se ne stava fermo all’entrata della chianchieria con addosso il camice pieno di macchie sozzose e si stava fumando una sigaretta. Mi ricordo che una volta le bestie squartate le teneva appese pure fuori al magazzino. Poi è iniziato che non le teneva nemmeno dentro ai banchi frigorifero. E se ci entrava un cliente ogni mezz’ora era pure assai. Si vede che prestava i soldi con l’interesse, quella monnezza. E di sicuro teneva qualche intrallazzo con chi non doveva.
Si credeva di essere un padreterno mentre fumava là fuori. Io e Gigio ci siamo fatti due volte il giro col mezzo per vedere se era cosa, gli siamo passati per davanti due o tre volte e lui neppure ci ha guardati. Invece buttava l’occhio sul culo sceso di una mezza baiorda che camminava sul marciapiede. Lui si faceva il film di metterlo là, e intanto glielo stavo per impizzare io in quel posto.
Sono sceso dalla Vespa dietro a un angolo, a dieci metri da dove stava lui e mi sono avviato svelto, rasente rasente al muro. Il casco non me lo sono levato, la pistola invece l’ho tirata fuori e me la sono nascosta dietro alla schiena. Gli sono andato vicino vicino per non sbagliare e gli ho puntato il ferro a manco mezzo braccio dalla testa senza che lui se ne accorgeva nemmeno.
A quel punto però è successa una cosa strana che io penso che era colpa della cocaina tagliata troppo pura. Penso che era tutta immaginazione mia. E’ successo che lui si è girato verso di me e che la faccia non era più la sua. Era la faccia mia. E poi si è cambiata nella faccia di mio padre. E poi di nuovo nella faccia mia.
Sono uscito pazzo dall’arraggia. Che sfaccimma tenevamo da spartire io e mio padre con l’infamone? Mio padre ha dovuto spantecare una vita sana, si è fatto la gabbia per cinque anni e non ha avuto niente. E’ solo finito sotto terra per via di un mammone dentro al fegato. E io non voglio fare la sua fine.
Per levare di mezzo l’infamone, a me e a Gigio hanno dato ottocento euro ciascuno e questi ottocento euro, per me, sono l’inizio di una vita diversa. Perché a Licola a ballare ci voglio andare col macchinone e non coi soldi contati. Perché le belle femmine che ti fanno i servizi di bocca si pigliano solo se gli allunghi la moneta. Perché io voglio essere un personaggio e non uno che puoi buttare quando pare e piace a te.
Tutte queste cose mi sono passate in fronte in un secondo solo. Ho strillato, ho tirato il grilletto, si è sentito il botto e ho visto la faccia mia e di mio padre che scoppiava in una nuvola nera e rossa. Poi ho sentito subito le allucche che venivano da dentro il negozio. Era un guaglione che poteva essere il figlio dell’infamone, ma pure lui teneva la stessa faccia mia: tale e quale, identica. Ho sparato addosso pure a lui, ma non lo so se l’ho pigliato. Forse sì, ma qui non teniamo il televisore e neppure il telefono. Perciò non ti posso dire proprio niente.
Comunque, prima che mi giravo e che mi mettevo a correre, ho buttato un altro paio di palle dentro all’infamone che stava a terra schiumato di sangue. Tutt’attorno a me ci stava il fuggi fuggi, però io mi pareva di tenere l’ovatta dentro alle orecchie. Era tutto come da lontano.
Gigio ha fatto una sgommata dall’altra parte della strada e ha pigliato a suonare il clacson. Quando gli sono salito dietro mi pareva di aver volato. Non vedevo più niente. Davanti a me tenevo solo la faccia mia e di mio padre che scoppiavano. Non quella dell’infamone: quella mia e di mio padre.
Gigio in mezzo al traffico mi pareva Valentino Rossi. Quando siamo arrivati all’appuntamento, in una piazzola sopra a Mater Dei, c’era la macchina che ci aspettava così come eravamo rimasti d’accordo con Maradona. Quando mi sono tolto il casco mi è venuta una cosa di stomaco e mi sono messo a vomitare tutto quello che tenevo nella pancia. Maradona mi ha dato delle mazzate dietro alle spalle e mi diceva che era un fatto normale. Gigio pertramente si fumava una sigaretta. Per fortuna che quando mi sono seduto sul sediolino di dietro stavo già bene. Di mettermi a sorchiare non se ne parlava nemmeno, però sono riuscito a chiudere gli occhi e a non pensare a niente più.
Quello che guidava la macchina ci ha portati da una parte in campagna, in mezzo alle piante di pummarole. Ci stava una casa di coloni deserta. La comanda era quella di stare lì, che dovevamo aspettare tranquilli qualche giorno. Dentro ci abbiamo trovato giusto quello che serviva: una buattella di caffè con la macchinetta, una cascetta di bottiglie d’acqua, due di vino e un poco di roba in scatola. Poi ci stavano due materassi per dormire messi a terra, e sopra al tavolo, le bustine di eroina che avevamo cercato a Maradona prima che andavamo ad ammazzare l’infamone. E ci stavano pure le siringhe. Non si erano scordati di niente.

Ci siamo scarfati una tazza di caffè e poi ci siamo stesi sopra ai materassi, svegli ma senza che parlavamo. Solo noi coi cacchi nostri per il cervello. Poi quando si è fatta una certa ora ci siamo calati la bummazza. Si sentiva che era prima qualità.
Non ti so dire per quanto tempo ho pariato da sveglio e poi quando mi sono addormentato e ho incominciato a fare sogni. Mi ricordo solo che a un certo punto ho visto padre Pio e il diavolo che si prendevano a pugni e paccheri davanti a me e a mia mamma per sapere chi si doveva pigliare il mio spirito e spedirlo o all’inferno o al paradiso. Mamma piangeva e io ridevo perché erano comici mentre si mazziavano. E poi mica ero morto ancora.
Mi sono svegliato che stava il sole di primo mattino (o almeno così mi pareva) che entrava dalla finestra. Gigio stava ancora che dormiva pesante. Io mi sono alzato, sono andato nella latrina che stava nell’altra camera, ho pisciato e ho fatto la cacca. E mentre che stavo là, pensavo che mi ero sognato proprio una stronzata: che i santi non si mettono a perdere tempo con noi, se no stavamo tutti quanti bene e Napoli era un’altra cosa, no? Se vuoi stare bene devi fare da solo e basta.
Quando ho finito, sono andato vicino alla finestra e mi sono appicciato una sigaretta mentre che guardavo fuori. Da lontano si vedevano una sacco di gente negra che raccoglievano le pummarole e si chiamavano coi gridi. Ho pensato che erano dei poveracci e che io invece tra un poco mi compravo il macchinone e me ne uscivo con certe guaglione che non si vedevano nemmeno a Miss Italia.
Poi però per un momento mi è sembrato che giravano tutti quanti la testa dalla parte mia. Ed erano tutti quanti tali e quali a me e a mio padre. Tenevano tutti quanti la faccia mia e quella di mio padre. Ma è stato solo per un momento. Ho pensato che era la polpetta che faceva ancora effetto. Io e mio padre buonanima non abbiamo mai tenuto niente da spartire con quelli. E quando ho finito la sigaretta, me ne sono andato a coricarmi un altro poco. E mi sono scordato di tutto.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Complimenti!